La rivolta libica
Reazione a catena
Libia.
Esponenti dell’opposizione libica hanno annunciato a Bengasi la nascita di un “Consiglio Nazionale”, che coordinerà i gruppi dei rivoltosi e governerà le aree del paese liberate dal regime. Non si tratta di un governo provvisorio ed è esclusa qualsiasi possibilità di negoziato con Gheddafi. Fonti dell’opposizione hanno indicato che molte città dell’Ovest sono “nelle mani del popolo” e stanno preparando una marcia per liberare Tripoli. Gheddafi controllerebbe ormai solo la caserma bunker in cui si è asserragliato e non intende abbandonare il paese. Il rais emula Saddam Hussein e minaccia: “Ci saranno migliaia di morti se ci sarà un intervento militare degli USA e della Nato in Libia”. Abbiamo costretto l’Italia ad abbassare la testa nei nostri confronti. Siamo andati in Italia portando il figlio Omar Muktar, e li abbiamo costretti a scusarsi per la colonizzazione”. E ancora: “Vogliono farci tornare schiavi come sotto gli italiani? Non lo accetteremo e combatteremo fino all’ultimo uomo perché è in atto una cospirazione per appropriarsi del nostro petrolio”. Esiste la concreta possibilità per Muammar Gheddafi di andare in esilio per mettere fine allo spargimento di sangue in Libia. Gli Stati Uniti stanno ridispiegando le proprie forze navali e aeree intorno alla Libia per essere pronti a ogni eventualità. Mobilitata, fra le altre, la portaelicotteri anfibia d’assalto USS Kearsarge (LHD-3) con lancia missili difensivi RIM-116 RAM che trasporta 5 bombardieri a decollo verticale Harrier, e un contingente di oltre 1.800 marines. La Tunisia da sola non ce la può fare, il collasso della Libia sta rovesciando sul suo territorio almeno 5-10 mila rifugiati al giorno. Secondo le stime delle Nazioni Unite, sarebbero ormai 110 mila i profughi ammassati a ridosso della frontiera. L’operazione “Missione umanitaria” in Tunisia per assistere i profughi provenienti dalla Libia promossa dal governo italiano comincerà “entro 48 ore” con presumibilmente l’apporto del governo britannico. Sarà allestito un campo profughi, che servirà a dare assistenza a quelle popolazioni, ma anche a impedire che partano verso l’Italia.
Profughi ammassati a ridosso della frontiera tunisina
Tunisia.
5 persone sono rimaste uccise nelle proteste di fine settimana a Tunisi. Il paese è sempre in preda a una forte instabilità politica, dopo la caduta dell’ex presidente Ben Ali, lo scorso 14 gennaio, le dimissioni del primo ministro Ghannouchi, del ministro dell’Università e Ricerca Ibrahim, e di quello per lo sviluppo regionale Nejib, a capo del governo si è insidiato l’ottantaquattrenne Beji Caid Sebsi, di ispirazione liberale, già ministro all’epoca della presidenza Burghiba. Il nuovo premier Sebsi dovrebbe annunciare nei prossimi giorni la nascita di un’Assemblea costituente, incaricata di riscrivere la Costituzione prima del voto di luglio.
Iraq.
Cortei e violenze a Bagdad e Mosul, morti e feriti.
Iran.
La polizia di Teheran ha usato i gas lacrimogeni contro una manifestazione indetta dall’opposizione per chiedere il rilascio dei suoi leader, Mussavi e Karrubi, di cui non si sa nulla. Alcuni siti web riferiscono che migliaia di agenti e miliziani islamiti basiji si sono schierati lungo le vie principali della capitale per impedire il corteo. Le forze dell’ordine non hanno per ora fermato i manifestanti: la situazione è in costante evoluzione. Le autorità secondo i blogger dell’opposizione hanno ripreso a sequestrare antenne paraboliche per impedire la visione delle emittenti estere.
Yemen.
Proteste ad Aden e nella capitale Sana’a contro il presidente Saleh, un morto e una ventina di feriti. E’ braccio di ferro nello Yemen tra dimostranti anti-regime e il presidente Ali Abdallah Saleh, despota al potere da anni. Come per l’egiziano Hosni Mubarak anche per lo yemenita Saleh le richieste della popolazione non cambiano: caduta del regime e dimissioni.
Piazza Tahrir al Cairo
Egitto.
Tensione a piazza Tahrir, luogo simbolo della rivolta di gennaio, tra polizia e dimostranti, che non intendono andarsene.
Il deposto presidente Hosni Mubarak, e la sua famiglia, non possono lasciare il paese, il divieto di espatrio ordinato dalla Procura è stato deciso perché sono in corso le indagini giudiziarie a suo carico. I beni di Mubarak e famiglia sono su richiesta della Corte d’Assise in attesa di congelamento.
Bahrein.
Il principe erede ha annunciato colloqui con l’opposizione sciita che chiede riforme politiche.
Oman.
L’onda delle rivolte anti-regime si estende nel sultanato dell’Oman, dove finora cinque dimostranti sono stati uccisi. A Sonar la polizia per sedare la contestazione contro il governo ha sparato proiettili di gomma. Nel secondo giorno consecutivo della protesta, che chiede riforme politiche, posti di lavoro e aumenti salariali, i dimostranti hanno bloccato il porto. Si manifesta anche nella città meridionale di Salalah.
Costa d’avorio.
Scontri fra i seguaci di Quattara, presidente eletto, e quelli di Gbagbo, presidente uscente, si sono ora estesi alla capitale Yamoussoukro.
di frabel
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