Blueberry (2004) regia di Jan Kounen è una coproduzione di Francia, Messico e Stati Uniti, interpretato da Vincent Cassel, Juliette Lewis, Michael Madsen, Temuera Morrison, Colm Meaney, Ernst Borgnine, Djimon Hounson, Hugh O'Connors, Vahina Giocante, Eddie Izzard.
Blueberry è un film del 2004 diretto da Jan kounen, liberamente tratto dal fumetto omonimo di Jean Giraud e Jean-Michel Charlier (composto da 24 albi di 44 pagine).
Il regista Jan Kounen (già autore di Dobermann) con il materiale di scarto (quasi tre ore di filmato) ha realizzato un documentario sugli effetti psicotropi del peyote.
Mike Blueberry (interpretato da Vincent Cassel), sceriffo di Palamito, viene iniziato dai pellerossa e cerca di mantenere il difficile equilibrio tra le due civiltà.
L'arrivo in città del killer Wally Blount, alla ricerca di un misterioso tesoro indiano, porta violenza e brutalità nella contea. Blueberry scopre che Blount era lo stesso individuo incontrato anni prima e che non era riuscito ad uccidere, ferendo a morte invece la prostituta con cui il protagonista aveva una relazione "particolare". Grazie all'aiuto di Runi, il fratello sciamano che lo ha iniziato ai culti misterici dei pellerossa, riuscirà a sconfiggere Blount ma dovrà affrontare anche i suoi demoni interiori (che si materializzeranno nella mente del protagonista dopo un viaggio psichedelico con la ayahuasca).
Wikipedia
E' uscito nelle sale cinematografiche Blueberry (interpretato da Vincent Cassel) il film western liberamente tratto dal celebre fumetto Blueberry, scritto da Jean Michel Charlier e disegnato da Jean Giraud in arte Moebius. In questo film Mike Blueberry, (il suo vero nome nel fumetto originale è Mike Steve Donovan, soprannominato Blueberry) arrivato nella città di Palomito fa la conoscenza con una ragazza del bordello e se ne innamora. Durante il violento conflitto a fuoco tra Blueberry ed il killer Wally Blount, la ragazza viene uccisa e Blueberry ferito è costretto a fuggire dopo essere scampato ad un incendio Viene trovato privo di sensi da Rumi, uno stregone degli indiani Chiricahua e dopo aver vissuto con loro per parecchi anni, impara ad apprezzare la grande spiritualità e il loro stile di vita. Intanto il criminale Wally Blount ricompare nella vita di Blueberry, in quando è alla ricerca di un leggendario tesoro indiano che sarebbe nascosto nelle Montagne Sacre. Blueberry ha un conto in sospeso con Wally Blount e al fine di proteggere i suoi amici Chiricahua, diventa lo sceriffo di Palomito. La resa dei conti si avrà nelle Montagne Sacre, ma qui Blueberry dovrà combattere una battaglia personale contro i suoi drammi interiori e i suoi fantasmi del passato, che lo riportano a suggestive visioni oniriche (realizzati grazie all'ausilio della computer grafica 3d). La figura di Blueberry, che nel fumetto viene rappresentato con una personalità molto forte e libera, contraria ad ogni tipo di imposizione, in questo film viene tracciata in con l' aspetto molto malinconico e problematico, di un uomo combattuto dai suoi drammi interiori che gli fanno guardare la realtà con molto pessimismo. Nel film si fa largo uso dei flashback che riportano Blueberry ai suoi ricordi, molto spesso legati ai simboli tipici della sacralità indiana. Da segnalare la bella fotografia di Tetsuo Nagata e un cast di attori di tutto rispetto dove accanto al già citato protagonista Vincent Cassel ricordiamo la bella Juliette Lewis, Michael Madsen (nel ruolo del cattivo Wally Blount), Ernst Borgnine e Colm Meaney nel ruolo di Jimmy McClurie, l'inseparabile amico di Blueberry. Le differenze tra film e fumetto sono abissali, sia per quanto riguarda alcuni dettagli della vita di Blueberry (non viene citato che è tenete dell'esercito nordista di Forte Navajo), sia dal punto di vista della sua caratterizzazione psicologica. Blueberry è si trasgressivo e controcorrente, ma non cupo e ombroso, bensì molto gioviale e ironico. Inoltre i tratti somatici del Blueberry fumetto sono stati ispirati a quelli dell'attore Jean Paul Belmondo, mentre il pur bravo Vincent Cassel, non lo ricorda neanche vagamente.
Cartonionline
Educato dai pellerossa e ossessionato dai confusi ricordi di un tragico episodio in cui era stato coinvolto a diciassette anni, il "viso pallido" Mike Blueberry, sceriffo di Palomito (New Mexico), cerca di tenere in equilibrio l'appartenenza a due civiltà. La sua "routine" è sconvolta dall'arrivo di avventurieri senza scrupoli (tra cui c'è il temibile Blount), attratti dalla leggendaria esistenza di un tesoro indiano, nascosto nelle Montagne Sacre. Con l'aiuto di Runi, il giovane sciamano con cui è cresciuto, Blueberry (mirtillo) si prepara a una duplice battaglia contro Blount e contro i demoni che da anni lo avvelenano. Western francese ispirato a 2 albi – La Mine de L'Allemand perdu e Le Spectre aux balles d'or – dei romanzi a fumetti Blueberry, popolari in Francia, di Jean (Moebius) Giraud e Jean-Michel Charlier, adattati da Gérard Brach, Matt Alexander e J. Kounen, regista pubblicitario al suo 2° film dopo Dobermann. Girato in inglese nel 2002, esterni in Messico e Spagna, con fotografia del giapponese Tetsuo Nagata, distribuito a Parigi nel febbraio 2004. Il colpevole accanimento nell'abuso degli effetti speciali – che soprattutto verso la fine diventa un'emorragia grafica delirante – non è il solo difetto di un film ambizioso e prolisso che pur non manca di passaggi e paesaggi suggestivi. Mai visto un western con un ricorso così ostinato alle carrellate aeree sul deserto e tanti buchi nella struttura narrativa.
Corriere della Sera
E dire che i primi 20 minuti circa mi stavano piacendo. Fino a quando, cioè, il giovanotto Mickey Blueberry finisce, grazie ad una forzatura di sceneggiatura (ma comunque accettabile), tra le grinfie degli indiani Chirokawa. E da questi verrà cresciuto ed educato. Fin qui i dialoghi in rigoroso idioma pellerossa e le trasvolate della mpd per gli altipiani, i rigorosi dettagli stile western leoniano all'occhio (ma anche agli animali) e i capricciosi flashback di tanto in tanto inframmezzati (ma funzionali a ricordare che sin da principio la vicenda è un lungo flashback) erano particolari e avevano un che di delicato, forse perchè inscritti in una fotografia e in una scenografia suggestiva. Ma quando si comincia a stufarsi della bizzosa leziosità della mpd stile nibbio del canyon, quando vediamo di forza l'intromissione dell'elemento femminile nel plot (a mio avviso irrilevante con la storia -certo una bella donna non guasta mai, qualcuno obietterà...), quando per ravvivare (sottolineare??macchè!!) vediamo ricorrere ad affetti a ralenti e quant'altro, quando vediamo il faccione di Wally, poco ci manca che il timore che si possa decadere nel tarantiniano si stia materializzando clamorosamente. Fortuna che flashback e qualche montaggio dall'effetto caciarone a parte, Kounen non ha la verve dialoghistica di Quentin, nè tanto meno ha pagato i diritti a qualche band anni Settanta per usufruire di un loro brano musicale a suggellare il tutto. Il risultato? Kounen trascina lo spettatore in un pretestuoso soggetto cinematografico per arrivare al climax tutto computer grafica, che con dei frattali impazziti (va detto però: molto suggestivi e riusciti) modello Windows Media Player ci trascina nel tunnel in cui l'arrancante Blueberry gongola a causa di un lisergico intruglio di un pellerossa. In questo ping pong di rimandi temporali, capiamo finalmente che Kounen voleva solo farci partecipi dell'infantile stupore che lo soprassale quando si compiace della riuscita composizione di un bilione di bit.
G.M.
Western poderoso, pochi spaghetti, tanta violenza, piombo quanto basta. Eccellente il duo Cassel - Madsen (sempre più cattivo, in puro stile Le iene)con una Juliette Lewis invecchiata e ingrassata (sarà solo la pellicola o gli anni che passano ?) Inossidabile Borgnine, anche a rotelle. Per il resto c'è ampio spazio a deliri mistico-filosofici che un po' distraggono dalla trama, mentre il limite maggiore del film è il cattivo sfruttamento di un personaggio mitico come Blueberry, soldato e avventuriero. Delle tante possibili trame, quella scelta non gli rende certo merito. Oddio, il film potrebbe essere il primo di una serie, ma dati i presupposti e le spietate leggi del cinema (i sequel/prequel si fanno solo per i grandi successi) sarà difficile che l'attuale lavoro abbia seguiti. Peccato, perchè nell'insieme non è male.
Ibs
Liberamente tratto dall'omonimo fumetto del celebre Gir/Moebius. Mike Blueberry è un ragazzo turbolento della Louisiana che viene spedito nel Far West, presso uno zio, per essere raddrizzato. Dopo un confuso quanto tragico evento verrà salvato dagli indiani, che lo accoglieranno come uno di loro. Diventato uomo e sceriffo, Mike, trait d'union tra diverse culture, dovrà fronteggiare i fantasmi del proprio passato: avrà così l'occasione di trovare se stesso affrontando le proprie paure.
In una stagione in cui impazza tra i mercenari del marketing la febbre del "paragonabile solo a" e del "più –aggettivo random- di", meglio chiarire subito: Blueberry sta a C'era una volta il West come Natural City sta a Blade Runner, e sta a Mulholland Drive come Saw sta a Il Silenzio degli Innocenti. Solo dopo aver acquisito l'amara consapevolezza che qualcuno ai piani alti menta sapendo di mentire, o capisca oggettivamente molto poco di cinema, possiamo passare a parlare del titolo. Fumoso più che polveroso, pur essendo ambientato nel west Blueberry non è un western, e, zeppo di omaggi formali, può essere considerato al massimo un goffo tributo ad un genere che ha fatto la storia del cinema. Per fortuna non è tutto qui. Sotto la spinta di un ritmo non irresistibile, lunghi flashback scandiranno un intreccio non lineare in senso assoluto, ma a trame abbastanza larghe da renderlo per nulla criptico. Vendetta, estasi mistica, ricerca di se stessi, sono i temi che si intersecheranno fino a fondersi in un interessante finale alla mescalina, con un cast costantemente disorientato al punto giusto. Il tentativo di reinventare la psichedelia è certo pretenzioso, a tratti fastidioso, ma potrebbe regalare qualche folle suggerimento di infinito o qualche incomprensibile sussurro adimensionale: il che, al giorno d'oggi, rischia di valere il prezzo di un biglietto.
Mymovies
A metà strada tra "Un uomo chiamato cavallo" e i celebri diari dell’antropologo e etnologo peruviano Carlos Castaneda, Blueberry segna il ritorno dietro la macchina da presa di Jan Kounen, il regista francese di Dobermann. E ancora una volta è Vincent Cassel il protagonista di questo film fantasy-western liberamente ispirato all’omonimo fumetto di Jean Giraud, meglio noto con lo pseudonimo di Moebius. Rispetto all’originale su carta il film si concede uno sguardo più approfondito alla cultura sciamanica degli indiani attraverso il viaggio iniziatico di Mike Blueberry. Siamo in Texas sul finire dell’Ottocento e Mike si ritrova a fare lo sceriffo di Palomito dopo un’adolescenza tormentata, in parte trascorsa con una tribù Pellerossa. Un incontro fatale dopo il quale la sua vita sarà sempre in precario equilibrio tra due civiltà così profondamente diverse. L’arrivo in città del misterioso killer Wally Blount (Michael Madsen), in cerca del misterioso tesoro degli indiani, costringerà lo sceriffo a fare i conti col proprio passato. La trama non brilla per originalità, sopratutto nella prima parte che si attesta placidamente sugli archetipi della classica epica western: bordelli, fiumi di alcool, l’idiota sdentato del villaggio e l’immancabile cavallerizza selvaggia e ribelle (Juliette Lewis). Improvvisamente però il film prende un’altra direzione, molto più visionaria e interessante, quando Blueberry fa ritorno nel cuore delle Montagne Sacre dal fratello sciamano Runi.
Con il suo aiuto e quello delle piante sacre Blueberry riuscirà a vincere i propri demoni nel corso di un viaggio che il regista evoca attraverso l’impiego di un incredibile computer grafica. Piramidi, rettili, colonne vertebrali umane che si confondono con quelle di insetti, circuiti informatici che fanno tanto letteratura cyber, icone precolombiane e ancestrali divinità ctonie. Il tutto frullato in una lunga sequenza assolutamente godibile se ci si fa trasportare dalla pura gratificazione visiva.
Claudia Mangano Da Il Mucchio Selvaggio settembre 2005
Blueberry, eroe di un fumetto western le cui fattezze sono modellate su quelle di Jean Paul Belmondo, nasce nel 1963, creato dallo sceneggiatore Jean-Michel Charlier, appena tornato da un viaggio nell'ovest statunitense, e dal disegnatore Jean Giraud, che qui firma le tavole come Gir, mentre quando realizza i suoi celeberrimi albi di fantascienza usa lo pseudonimo Moebius. Realizzato con sublime tecnica visiva e un gusto per le inquadrature più raffinate, il fumetto è quanto di più cinematografico sia mai stato disegnato, eppure nessuno aveva mai tentato di trasporlo sul grande schermo. Ci hanno provato ora il regista Jan Kounen (Dobermann) e l'attore Vincent Cassel, chiamato a vestire i panni dell'eroe in Blueberry (nelle sale dal 15), pellicola che non mancherà di sconcertare gli appassionati del fumetto. Il film, infatti, pur schierando un imponente cast, che comprende Juliette Lewis, Michael Madsen ed Ernest Borgnine, nel ruolo di uno sceriffo su sedia a rotelle, rifugge dalla tradizione narrativa del western, per scegliere un percorso allucinatorio dove, invece di mettere mano alla pistola, uno spaesato Blueberry passa buona parte del tempo ad ingerire misteriose sostanze, fornitegli da uno sciamano indiano, che gli procurano visioni di ogni tipo. «Non m'interessava interpretare un western, anche perché mi piacciono solo quelli italiani, né attenermi rigidamente al fumetto, che non conoscevo», spiega Cassel, «ma mi affascinava l’opportunità di indagare sui riti sciamanici dei pellerossa: sono un fan di Carlos Castaneda e prima dell’inizio delle riprese con Kounen ci siamo concessi un viaggio per sperimentare gli effetti di quelle che sono chiamate le "piante insegnanti"». «In realtà Vincent non avrebbe nemmeno dovuto interpretare Blueberry, interviene il regista, «visto che avevo già scelto un protagonista americano, ma poi lui è venuto con me nella fase di preparazione del film, quando sono stato in Messico a provare gli effetti del peyote e poi in Amazzonia, dove gli sciamani mi hanno fatto provare l'ajauasca. A quel punto non aveva senso chiamare un altro attore: lui ormai sapeva cosa voleva dire avere certe visioni. Curiosamente la parte allucinatoria del film è quella più realistica, quasi un documentario». E Giraud come l’ha presa? «Anche lui, in passato, ha avuto un'esperienza del genere, in Messico, con i funghi allucinogeni, anzi l'idea di firmarsi Moebius per le storie di fantascienza gli è venuta proprio dopo quel viaggio», ricorda Cassel. «Gir, in una storia del suo western, faceva incontrare Blueberry con lo spirito di uno sciamano», puntualizza Kounen, «e io ho pensato che sarebbe stato più interessante raccontarne un incontro con uno sciamano vivo. Diciamo che ho voluto realizzare la storia "mancante" nella saga di Blueberry, una storia che avrebbe potuto essere firmata Moebius, anziché Gir. Al cartoonist l'idea è piaciuta e mi ha dato carta bianca». Il ruolo di Blueberry suggerisce qualche paragone tra Belmondo e Cassell? «Oddio, spero di non finire come Jean-Paul, che ad un certo punto della sua carriera ha fatto scelte veramente strane, pensando solo ai soldi, però qualcosa c'è. All'inizio Belmondo è stato un fenomeno unico, un attore estremamente fisico che faceva film d'autore, una miscela veramente insolita e straordinaria. In fondo è un po'quello che piace fare anche a me. Quello dell'attore è un mestiere troppo facile: se non fatico sul set, se non devo fare sforzi fisici e imparare cose nuove non mi sembra nemmeno di lavorare, non mi diverto».
Oscar Cosulich Da Il Mattino, 4 luglio 2005
Ai tempi del muto, molto prima che Sergio Leone creasse lo «spaghetti western», i francesi reinventavano già le praterie americane nei vasti spazi aperti della Camargue. Un prodotto ibrido come Blueberry può vantare, insomma, ascendenti remoti, fermo restando che la vicenda si ispira a una famosa serie a fumetti di Jean Giraud/Moebius, che il pistolero Vincent Cassel è uno dei divi più popolari dell'Esagono e che la produzione parigina ha fatto le cose in grande portando la troupe nel New Mexico e in Spagna.
Perfetto conoscitore del genere, di cui cita con sicurezza spunti e figure, il regista Jan Kounen ha puntato molto su ambienti e costumi filologicamente ritagliati dai classici di John Ford e compagni; e su questo, nulla da eccepire. Più dubbia è l'immissione, in una classica vicenda che intreccia l'abituale tema della vendetta con quello altrettanto tradizionale della caccia al tesoro, di una dose massiccia di esoterismo psichedelico tratto dalle opere di Castaneda.
In un breve, tragico prologo vediamo Michael Madsen nei panni del cattivo Wally Blount conciare per le feste il giovane Mike Blueberry (Hugh O'Conor). Meno male che arrivano i nostri, ovvero gli indiani Chiricahua, i quali curano con arti sciamaniche e adottano il malcapitato. Lo ritroviamo adulto, con la grinta di Cassel, come difensore della legge nel borgo di Palomito, a sostegno di uno sceriffo paralitico nel quale riconosciamo l'indomito ultraottantenne Ernest Borgnine.
Ovviamente Madsen si ripresenta più pericoloso che mai, deciso ad appropriarsi di un tesoro che i pellerossa custodiscono nelle Montagne Sacre. Sarà una sfida all'ultimo sangue fra Blueberry e Wally, molto diversa dall'immancabile «showdown» tradizionale in quanto immersa in caleidoscopico delirio visivo che ricorda i film di Alexander Jodorowsky. La presenza femminile è assicurata da Juliette Lewis, che per la verità non ha molto da fare oltre che interpretare con grazia la melodia di «Danny Boy» in un «saloon» suggestivamente evocato. Uscito l'anno scorso in Francia con discreto esito, Blueberry si rivolge più agli amanti delle fantasie visionarie che a quelli del film d'azione. E' probabile, comunque, che gli uni e gli altri finiranno per giudicarlo troppo artificioso.
Alessandra Levantesi da La Stampa, 16 luglio, 2005
Vagamente ispirato al Blueberry fumetto, quella perla inventata da Moebius, il film conferma quello che dopo "Dobermann" già sospettavamo. Il regista Jan Kounen fa solo danni. Non solo si serve di un bellissimo personaggio - che peraltro, nell’interpretazione di Vincent Cassel, se solo fosse stata più misurata, poteva davvero rivivere” - per parlare di tutt’altro (sciamanesimo, viaggi lisergici) ma oltretutto lo fa con una tracotanza estetica che lascia storditi. Blueberry è un delirio, ma non in senso buono. È come la voce grossa di un politico populista, una specie di cinema forcaiolo che infierisce sugli occhi degli spettatori con inaudita violenza visiva. Fine a se stessa, naturalmente, e speriamo non sia il caso di dover spiegare in quale senso non letterale usiamo il termine “violenza“. Esilissima la storiella: un killer che ha sbagliato film, pensando di essere ancora tra "le iene", mette a ferro e fuoco la città dove Blueberry fa lo sceriffo. In verità cerca una specie di tesoro indiano, e siccome il nostro eroe vive in una sorta di estasi sciamanica che molto lo avvicina al popolo rosso, la questione tra i due diventa non solo personale ma di “razza“. Per tirar fuori questo film Kounen dichiara di aver visto - bontà sua -«almeno 70, 80 western classici per imparare le regole». Ma si può “imparare” il western?
Mauro Gervasini Da Film Tv,n. 29, 2005
Il fumetto Blueberry
Blueberry è un tenente dell`esercito nordista, ma il suo rapporto militare dice che è un ubriacone, un baro, un attaccabrighe, un irrispettoso e un insolente: Mike S. Blueberry è uno dei personaggi più celebri e celebrati del fumetto europeo. Nelle sue storie, sceneggiate da Jean-Michel Charlier e disegnate da Jean Giraud, due grandi maestri della narrativa a fumetti che sono riusciti a fare del western un territorio pulsante di vita, verità e menzogne dell`uomo convivono, si intrecciano, si scontrano a contatto con una natura selvaggia e impietosa. Blueberry sfoggia sempre uno straordinario coraggio unito a una sfrenata intelligenza, anche se spesso dà l`idea di guardare tutto quel che accade con l`aria saggia di chi preferirebbe soluzioni alternative all`uso della violenza e delle armi.
Prenderemo in esame il primo ciclo della serie di Blueberry, Fort Navajo, e in particolare il quinto e ultimo episodio, La piste des Navajos, pubblicato originariamente nel 1965 su Pilote (nei numeri dal 313 al 335).
La prima edizione in volume è del 1969, e numerose ristampe sono seguite. Nel 1996 l’editore Dargaud ha pubblicato una nuova edizione, "remaquettés et agrémentés de nouvelles couleurs" (dal sito Dargaud). La nuova edizione, che fa parte di un piano di ripubblicazione di tutti gli albi di Blueberry, è ricolorata da Claudine Blanc-Dumont.
Le storie di Blueberry sono state tradotte in molte lingue, tra cui il tedesco, il danese, l’inglese, l’italiano, il greco, il turco, ecc.
In Italia sono stati pubblicati tutti gli episodi della serie, solitamente prima a puntate su riviste e poi su album. La maggior parte degli episodi sono stati variamente ristampati o ripubblicati da diversi editori.
La pista dei Navajos è stata fino ad ora pubblicata in Italia sei volte. La prima edizione è stata pubblicata nel gennaio 1971 negli Albi Ardimento, dalla casa editrice Crespi, utilizzando l’edizione su album pubblicata in Francia da Dargaud nel 1969, nella quale alcune pagine erano state modificate rispetto agli episodi originali pubblicati su Pilote.
Crespi, che ha pubblicato la serie mensile degli Albi Ardimento dal luglio 1969 al dicembre 1971, lavorava in stretta collaborazione con il Corriere dei Piccoli, che da alcuni anni aveva iniziato a pubblicare fumetti francesi in traduzione, compresi gli episodi iniziali di Blueberry.
Sebbene la storia fosse quindi ancora inedita in Italia, essa si rivolgeva allo stesso pubblico di lettori del Corriere dei Piccoli, i figli della borghesia che leggeva il Corriere della Sera, di cui il Corriere dei Piccoli era il supplemento domenicale.
Il Corriere dei Piccoli fino agli anni Cinquanta aveva pubblicato i fumetti in traduzione, principalmente americani, adattandoli al formato tradizionale italiano delle “storie” illustrate, eliminando i balloon e sostituendoli con didascalie narrative sotto ciascuna vignetta.
Dal 1961 inizia a pubblicare fumetti francesi (con i balloon) e a rivolgersi ad un pubblico di lettori di età più avanzata, ovvero di ragazzi tra i 10 e i 15 anni anziché di bambini tra i 5 e i 10 anni. Nel dicembre 1971 la rivista cambia infine titolo, diventando il Corriere dei Ragazzi, continuando però a prestare molta attenzione sia ai lettori più giovani che ai loro genitori.
Si stima che i lettori del "Corrierino" fossero per i due terzi "ragazzi" e per un terzo bambini sotto i dieci anni. L’età dei lettori a cui si rivolge la rivista si può dedurre anche dai prodotti pubblicizzati nell’edizione Albi Ardimento della Pista dei Navajos, ovvero un fucile di plastica, penne, pennarelli e giochi da tavolo.
Per fare posto alla pubblicità l’episodio di fu accorciato, fondendo due pagine in una. Per fare ciò, furono tagliate tre brevi sequenze narrative, ciascuna composta di un paio di vignette. Come risultato, mentre i primi due “tagli” non si notano neppure nell’edizione italiana, il terzo produce una certa incoerenza narrativa.
Se mettiamo a confronto l’edizione Albi Ardimento con una successiva notiamo infatti come le parole pronunciate da Cochise nella vignetta a destra nelle due immagini fossero una risposta alle parole pronunciate da Blueberry "fuori campo" (cioè in un balloon collegato direttamente al canaletto) nella vignetta precedente.
Questo però solo nelle edizioni successive: negli Albi Ardimento le parole di Cochise diventano meno comprensibili, perché appaiono solo come una reazione all’entrata nella tenda di Blueberry.
La pista dei Navajos viene in seguito pubblicata in quattro puntate sul settimanale Skorpio nel 1980 (numeri 18-21). La rivista della casa editrice Eura, che contiene principalmente fumetti di autori sudamericani, si rivolge a un pubblico più adulto di quello degli Albi Ardimento, lettori interessati non solo ai fumetti ma anche a “sport, donne & motori”, come è intuibile dalla copertina qui riprodotta (Skorpio 1980/22).
Si tratta di un’edizione in bianco e nero in formato ridotto. I balloons sono stati allargati per poter contenere le traduzioni (i dialoghi sono molto lunghi) e il lettering è a stampa e non più manuale.
Due anni dopo, nel 1982, La pista dei Navajos è pubblicato in formato album con copertina morbida dalle Edizioni Nuova Frontiera, dentro una collana che presenta tutte le storie della serie principale francese. Edizioni Nuova Frontiera pubblica in seguito due ristampe di questa edizione, la prima in bianco e nero in formato pocket nel 1986, e la seconda in formato album cartonato nel 1990. L’immagine di copertina a fianco si riferisce a questa seconda ristampa.
L’edizione del 1982 si rivolge a un pubblico cresciuto con i fumetti d’"autore" francese, argentini e italiani, pubblicati sulle riviste degli anni 1970 e 80, da Linus ad Alteralter a Il Mago, fino alle riviste della stessa casa Editrice Nuova Frontiera (Metal Hurlant, Totem) su cui vengono pubblicati a puntate episodi inediti di Blueberry.
L’editrice Nuova Frontiera è basata in Toscana ma pubblica anche per il mercato spagnolo, soprattutto fumetti francesi in traduzione. L’edizione italiana di Blueberry è infatti basata su quella spagnola.
L’editrice Nuova Frontiera è basata in Toscana ma pubblica anche per il mercato spagnolo, soprattutto fumetti francesi in traduzione. L’edizione italiana di Blueberry è infatti basata su quella spagnola.
I lettori italiani de La pista dei Navajos del 1982 sono cresciuti anche con i fumetti popolari western (non solo bonelliani) in cui Kociss viene usato come forma alternativa a Cochise. Di Kociss si parla nell’edizione del 1982, mentre è Cochise sia in quella del 1971 che in quella del 2005.
Gli stessi lettori conoscono probabilmente inoltre tutto il ciclo di Fort Navajo (tutti i riferimenti intertestuali agli episodi precedenti sono mantenuti) e il modo in cui si sviluppa la saga.
Una nota introduttiva di Javier Coma (ripresa dall’edizione spagnola) funge da prefazione a ciascuno dei 22 episodi della saga pubblicata da Nuova Frontiera tra il 1982 e il 1987 e fornisce queste informazioni di contorno, compreso un commento sull’altra identità artistica di Giraud – Moebius, i cui fumetti sono anch’essi ampiamente pubblicati sulle riviste della casa editrice.
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