Una banda di rapinatori mette a segno un colpo dopo l'altro nelle banche della California. Sono chiamati gli "ex presidenti", I rapinatori sono quattro e nascondono le loro facce dietro le maschere dei passati presidenti degli USA (Ronald Reagan, Lyndon B. Johnson, Richard Nixon, Jimmy Carter), permettendo al regista di inserire un sottofondo di satira politica all'interno delle scene d'azione. L'FBI ha cercato di catturarli invano. Quando alla sezione di Los Angeles giunge il giovane agente Johnny Utah l'indagine si rimette in moto, soprattutto a causa del fatto che l'FBI non ha mai voluto seguire la pista dell'agente Angelo Pappas il quale ritiene che si tratti di surfisti che in questo modo vivono liberamente finanziando la loro stagione. Utah viene convinto dalla teoria del collega e cerca qualcuno per farsi insegnare il surf; conosce con qualche stratagemma Tyler che lo introduce nell'ambiente.
Ha così modo di conoscere Bodhi. Bodhi (diminutivo di Bodhisattva), surfista esperto in attesa dell'onda perfetta, è il leader carismatico della gang di surfisti che rapinano le banche per finanziare il loro stile di vita da surfista e le spedizioni di skydiving e come forma di ribellione contro il sistema sociale che credono "uccida lo spirito umano". Mentre Utah e Pappas continuano l'indagine e le rapine si succedono, tra il poliziotto e il rapinatore si crea un legame, sempre più attratto da quello stile di vita adrenalinico.
Fino al giorno in cui Bodhi scopre che Utah è un poliziotto. Alla fine del film, Johnny è così assuefatto a questo stile di vita che si rifiuta di arrestare Bodhi e al contrario lascia che cerchi la morte surfando un'onda gigante a Bells Beach, in Australia, nella "tempesta del cinquantennio" (capita una volta ogni cinquant'anni). Alla fine la giustizia prevale, ma emerge anche il messaggio che la vita sia vuota e senza significato se non si vive al limite, nel momento in cui Johnny butta il suo distintivo nell'oceano e continua a fare surf "ogni giorno".
Kathryn Bigelow cerca in ogni suo film il 'punto di rottura'. Quel punto in cui separarsi dalle tradizioni hollywoodiane pur avendole cavalcate fino ad un istante prima, come le onde per i surfisti. In questo caso lo
fa sia dal punto di vista linguistico che da quello narrativo. Grazie all'intesa con l'operatore Jim Muro può offrirci un piano sequenza 'impossibile' (per la tecnologia del tempo) che ci mostra l'ingresso di Utah nella sede dell'FBI e molto più avanti, rovesciando il tavolo dell'immaginario, una sequenza mozzafiato di inseguimento in cui raggiunge il massimo della frammentazione di montaggio. Il confronto degli opposti sta alla base della sua poetica e qui tocca forse il suo apice. Nulla di socialmente più lontano che Utah e Bodhi ma l'attrazione tra i due è forte.
Le loro mani che si stringono mentre scendono in volo in caduta libera divengono segno di una possibile amicizia virile a cui fa da barriera la Legge. Uno la rispetta, l'altro la sfida costantemente.
Ma i corpi di entrambi sfidano altre leggi non codificate dall'uomo. L'acqua nella sua dimensione più possente e simbolica (l'onda) apre e chiude Point Break e anch'essa finisce col racchiudere un segno di ambivalenza: è fonte di vita ma può al contempo portare la morte. Una morte che viene cercata e sfidata per tutta la durata del film. Una morte che i vampiri di Il buio si avvicina e la Megan di Blue Steel avevano sempre al fianco o dinanzi. Una morte che, per almeno uno dei protagonisti, può finire con il dare un senso alla vita.
4° film di K. Bigelow (1953), fu aborrito dalla critica benpensante sia per l'improbabilità della vicenda (scritta da W. Peter Iliff) sia per i suoi risvolti parafilosofici di lirico ribellismo anarchico e rischio totale, quelli che, impersonati specialmente in Bohdi (P. Swayze), capo del gruppetto, attraggono l'agente infiltrato. Il fascino del film è nel modo con cui la cinepresa della Bigelow genera dinamismo invece di limitarsi a registrarlo e traduce in immagini (in termini spaziali) le ossessioni della lotta con l'infinito del mare e del cielo.
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